ESTERI
31/07/2014
L’Argentina scivola in default
Sfumato l’accordo, per il Paese seconda insolvenza in 13 anni
REUTERS
Il ministro dell’Economia argentino, Axel Kicillof
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BUENOS AIRES
L’Argentina è in default, per la seconda volta in 13 anni. Nessun accordo con gli hedge fund è stato raggiunto e la scadenza scadenza per il pagamento dei titolari di bond che hanno accettato il concambio superata senza che sia stato effettuato.
ANNUNCI E POLEMICHE
«L’Argentina ha scelto il default. Il mediatore ha proposto numerose soluzioni creative ma l’Argentina ha rifiutato di considerarle» afferma Elliot Management, l’hedge fund che insieme ad altri fondi ha fatto causa all’Argentina e l’ha vinta. Buenos Aires però nega il default, che si ha quando non si paga: l’Argentina ha pagato ma i fondi - afferma il ministro dell’Economia, Axel Kicillof - sono stati bloccati. E la «responsabilità» è del giudice Thomas Griesa, che non ha capito la complessità del caso ed è andato al di là della sua giurisdizione.
E ADESSO?
Difficile quindi capire con chiarezza, tra cavilli legali che toccano diversi Paesi e livelli, cosa accadrà davvero. La parola definitiva default tocca, in questi casi, all’Isda, l’ente sovranazionale che ha sede negli Usa e che sovraintende le procedure dei debiti degli Stati. L’ente ha emanato un comunicato in cui dice che si prende qualche giorno per dichiarare il default ma tra le righe dice anche che qualche spazio per ulteriori accordi potrebbe trovarsi. Cosa succederà ora ai titoli di Stato in mano anche agli investitori italiani? I valori dei bond scambiati sul mercato secondario stanno perdendo valore e nell’incertezza sarà questa la strada che potrebbero percorrere ancora a lungo perdendo così buona parte del cammino recuperato in questi anni. Se non ci sarà un intervento che frenerà la caduta.
L’ULTIMA TRATTATIVA
Accantonata per il momento anche la speranza di un accordo fra le banche argentine e gli hedge fund: la proposta degli istituti di credito di acquistare i bond e rimborsare interamente i fondi non è andata a buon fine. Le trattative delle banche si sono svolte in modo parallelo a quelle fra Buenos Aires e i fondi, e si sarebbero interrotte poco dopo con Sebastian Palla, il responsabile dell’investment banking di Banco Macro, in rientro in Argentina senza altri appuntamenti in programma. Che le trattative non sarebbero state facili fra gli hedge fund e l’Argentina si è capito da subito ma l’arrivo a New York del ministro dell’Economia, Axel Kicillof, ha fatto sperare. Annunciando che non c’era un accordo, Kicillof ha ribadito che non si può parlare di default perché default vuol dire non pagare. Kicillof attacca le agenzie di rating, definite «non credibili». Standard & Poor’s già prima della rottura delle trattative ha tagliato la propria valutazione su Buenos Aires a “selective default” da “CCC-”.
DAL GOVERNO APPELLO ALLA CALMA
Kicillof rassicura gli argentini: «State calmi, domani è un altro giorno e il mondo continua a girare. La vita va avanti anche senza un accordo sul debito». Buenos Aires - spiega Kicillof - «non può rispettare» la sentenza americana: gli hedge fund «hanno cercato di imporci qualcosa di illegale», «hanno respinto la nostra proposta». Kicillof attacca i fondi speculativi: «vogliono di più e lo vogliono subito, «non possiamo firmare accordi sotto estorsione». A chiarire le cose mentre Kicillof spiegava la posizione di Buenos Aires in conferenza stampa è stato Daniel Pollack, il mediatore incaricato di facilitare un accordo fra Buenos Aires e gli hedge fund, con un comunicato secco. «Nessun accordo è stato raggiunto e un default dell’Argentina è imminente». «Deafult non è una mera condizione tecnica - mette in evidenza Pollack -, è un evento reale e doloroso che avrà un impatto sulla gente normale: i cittadini argentini, i titolari di bond che hanno aderito al concambio (che non riceveranno il pagamento degli interessi) e gli hedge fund (che non riceveranno il pagamento che la Corte aveva garantito). Le conseguenze del default non sono prevedibili ma di certo non sono positive».
L’Argentina scivola in default
Argentina, prima sconfitta per i fondi avvoltoi
Argentina, prima sconfitta per i fondi avvoltoi
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Nuova tappa nella vicenda che oppone il governo argentino ai fondi avvoltoi. Il giudice nordamericano, Thomas Griesa, ha autorizzato la Citibank a pagare i buoni del debito emessi in dollari secondo la legislazione argentina (circa 5 milioni di dollari) ai fondi che hanno rinegoziato con Buenos Aires. Un debito che rimonta al default argentino del 2001.
Buenos Aires ha puntualmente pagato la propria rata nelle banche newyorchesi, ma Griesa l’ha bloccata il 26 giugno, pretendendo prima il pagamento ai fondi avvoltoi: ovvero a quei fondi speculativi che hanno lucrato sul default argentino, non hanno accettato di negoziare a pretendono l’intera somma.
Questa è la prima sentenza di Griesa che non va completamente a loro favore: per ora la Citibank, pressata dall’incombere di multe salate da parte del governo argentino, potrà di pagare il dovuto entro il 30 settembre. Il giudice ha però concesso 30 giorni agli «avvoltoi» per presentare ricorso. E non ha comunque accolto gli argomenti dell’avvocata Karen Wagner, della Citibank: secondo la quale i buoni, emessi in dollari secondo la legge argentina, riguardano il debito interno e non quello estero, e quindi non sono soggetti alla clausola del pagamento simultaneo, che protegge il diritto dei fondi speculativi.
Alle 16 di ieri, ora argentina, Griesa avrebbe dovuto decidere su altre eventuali sanzioni al governo argentino per inadempienza, oppure sull’eventuale passaggio della decisione ad altre istanze di negoziato su una questione che sta tenendo col fiato sospeso l’intero sud del mondo e non solo. La presidente argentina, Cristina Kirchner ha portato il caso in tutte le istanze internazionali, ottenendo la solidarietà del continente e anche l’appoggio dell’Onu, che ha votato a favore di una risoluzione, di fatto, contro i fondi avvoltoi: una risoluzione che chiede regole chiare in merito al pagamento del debito estero.
«Vogliono metterci in ginocchio, ma non ci arrenderemo», ha detto Kirchner.
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Nuova tappa nella vicenda che oppone il governo argentino ai fondi avvoltoi. Il giudice nordamericano, Thomas Griesa, ha autorizzato la Citibank a pagare i buoni del debito emessi in dollari secondo la legislazione argentina (circa 5 milioni di dollari) ai fondi che hanno rinegoziato con Buenos Aires. Un debito che rimonta al default argentino del 2001.
Buenos Aires ha puntualmente pagato la propria rata nelle banche newyorchesi, ma Griesa l’ha bloccata il 26 giugno, pretendendo prima il pagamento ai fondi avvoltoi: ovvero a quei fondi speculativi che hanno lucrato sul default argentino, non hanno accettato di negoziare a pretendono l’intera somma.
Questa è la prima sentenza di Griesa che non va completamente a loro favore: per ora la Citibank, pressata dall’incombere di multe salate da parte del governo argentino, potrà di pagare il dovuto entro il 30 settembre. Il giudice ha però concesso 30 giorni agli «avvoltoi» per presentare ricorso. E non ha comunque accolto gli argomenti dell’avvocata Karen Wagner, della Citibank: secondo la quale i buoni, emessi in dollari secondo la legge argentina, riguardano il debito interno e non quello estero, e quindi non sono soggetti alla clausola del pagamento simultaneo, che protegge il diritto dei fondi speculativi.
Alle 16 di ieri, ora argentina, Griesa avrebbe dovuto decidere su altre eventuali sanzioni al governo argentino per inadempienza, oppure sull’eventuale passaggio della decisione ad altre istanze di negoziato su una questione che sta tenendo col fiato sospeso l’intero sud del mondo e non solo. La presidente argentina, Cristina Kirchner ha portato il caso in tutte le istanze internazionali, ottenendo la solidarietà del continente e anche l’appoggio dell’Onu, che ha votato a favore di una risoluzione, di fatto, contro i fondi avvoltoi: una risoluzione che chiede regole chiare in merito al pagamento del debito estero.
«Vogliono metterci in ginocchio, ma non ci arrenderemo», ha detto Kirchner.
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